domenica 8 marzo 2020

KIERKEGAARD

SOREN KIERKEGAARD

Riconosciuto, insieme a Schopenhauer e a Nietzsche, come uno dei grandi contestatori del pensiero sistematico tematizzato dal filosofo di Stoccarda, Kierkegaard afferma la soggettività della verità ovvero una valenza esistenziale del vero: mentre la riflessione oggettiva di Hegel rende il soggetto un che di accidentale, facendolo quasi sparire in favore del pensiero astratto, la vera filosofia deve avere la capacità di illuminare l’esistenza.
La verità, in altri termini è quella che dona all’uomo la consapevolezza della propria condizione esistenziale come:
  • singolo che non può essere ridotto al processo storico e allo Stato (che in Hegel è il momento più alto dello Spirito Oggettivo);
  • individuo che deve scegliere e che, quindi, non può permettersi di scindere la verità dal bene che egli stesso vuole e attua a livello personale;
Il pensiero soggettivo di Kierkegaard è il pensiero del concreto esistente; un pensiero che è infinitamente più interessato all’esistenza stessa, con i suoi fatti concreti e la sua drammaticità che neanche la Cristianità stabilita è in grado di cogliere.

L’Aut aut e gli stadi dell’esistenza

Kierkegaard, muovendo da una prospettiva del tutto incentrata sulla persona, difende la possibilità di scelte libere tra alternative inconciliabili. È questo il significato dell’espressione aut-aut, la scelta che, nella sua drammaticità, deve essere continuamente affrontata da ogni individuo che, a fronte della sua libertà personale, non può delegarla o demandarla ad altri.
Questa scelta personale diviene necessaria per affrontare gli stadi dell’esistenza e per passare, in modo libero e volontario, da uno all’altro di essi. Kierkegaard distingue:
  • lo stadio estetico dove l’uomo vive sempre e solo nel momento, nella pura particolarità: è lo stadio della sensibilità e del rifiuto di tutto ciò che è impegnativo, ripetitivo, serio. La vita dell’esteta è contrassegnata dalla ricerca di sensazioni sempre nuove, dall’idolatria dell’instante e dal rifiuto di ogni legame stabile, sia affettivo che sociale. La figura che esemplica al meglio lo stadio estetico è quella di Don Giovanni, seduttore che passa da una donna all’altra senza mai legarsi e senza alcuna prospettiva. In questa vita dedita all’esteriorità, l’esteta fugge continuamente da sé stesso in una noia che maschera profonda disperazione;
  • lo stadio etico è connotato da stabilità e ripetitività, come ben dimostra la figura simbolo del matrimonio: qui l’uomo si sottopone a una regola e a un impegno costante nel tempo, scegliendo l’universale. Si tratta però di un atteggiamento rigoristico e serioso, dove l’uomo non riesce ancora a riconoscere il peccato e l’angoscia che l’accettazione di una regola e di una morale universale non possono risolvere. La verità di sé e della propria vita, la possibilità di guardarsi davvero come un io è ottenibile solo attraverso il pentimento, l’ultimo passaggio della vita etica, dove l’uomo si pone di fronte a un Dio personale rivelatosi in Cristo, incontro questo che gli consente di passare allo stadio successivo.
  • Lo stadio religioso trova la propria rappresentazione più pregnante nella figura di Abramo, disposto a sacrificare il figlio Isacco. In questo stadio l’uomo affronta il proprio io e gli aspetti di esso (l’angoscia e la disperazione) che finora non era stato in grado di capire e risolvere. L’uomo ha qui la possibilità di decidersi per il “salto della fede”, una scelta richiesta dal Dio della rivelazione cristiana e che è al di là della ragione, come ben dimostra il caso di Abramo.

L’angoscia e la fede

Decidersi per la fede, non è una scelta irrazionale ma un’opzione che risponde perfettamente all’esistenza umana; ciò è vero perché anche l’angoscia e la disperazione non vengono considerati da Kierkegaard come eventi eccezionali ma come sentimenti intrinsechi al soggetto e al suo modo di guardare al mondo.
In “Aut-aut” Kierkegaard considera l’angoscia come un sentimento strutturale in ogni essere umano dal momento che il suo modo di conoscere è essenzialmente sospeso nei confronti del futuro: mentre Dio del futuro sa tutto e gli animali nulla, l’uomo vive l’indeterminatezza del futuro, guarda al futuro in quanto indeterminato ed è qui che sorge l’angoscia, un sentimento che ha sempre un oggetto indeterminato, a differenza della paura.
All’angoscia sono strettamente collegate le dimensioni della possibilità e del peccato, dal momento che l’angoscia si riferisce sia a ciò che potrebbe accadere in futuro fuori di noi, sia a ciò che noi stessi potremmo fare in futuro.
Ne “La malattia mortale” è invece la disperazione ad essere compiutamente tematizzata come incapacità dell’uomo di accettare sé stesso, come condizione in cui l’uomo dispera di sé stesso. Mentre la natura umana consta, nella sua complessità, di differenti fattori in constante dialettica, gli uomini sono preda della disperazione perché, incapaci di accettare tutti questi fattori, rinunciano ad essere completamente sé stessi, puntando sul solo fattore, sia esso la finitezza e la materialità, o l’infinitezza e la possibilità, che riescono a controllare meglio.

Il Cristianesimo

Solo attraverso il Cristianesimo l’uomo riesce a guardare alla verità di sé stesso in tutta la sua complessità. Abbracciando il Cristianesimo l’uomo riesce a superare l’angoscia, dal momento che nessun evento contingente futuro, per quanto negativo, riuscirà a sottrarre all’uomo un bene eterno al quale è possibile accedere solo attraverso un atto di libera scelta, attraverso l’accettazione della libertà umana che nessun evento contingente futuro può mettere in discussione.
Il Cristianesimo è anche la scelta che consente di superare la disperazione: solo se si tiene il Cristianesimo per vero e lo si sceglie, l’esistenza dell’uomo, come passaggio dal finito all’Infinito, e la sua dimensione corporea e finita, come luogo dove l’Infinito si attua e verifica, diventano cariche di senso.
Kierkegaard spiega anche come è possibile considerare Cristo come la strada per la felicità. Se la fede è un salto oltre la razionalità pura e semplice, un paradosso, essa non potrà essere conservata solo attraverso argomentazione e convinzioni di natura intellettuale; essa è contro ogni intellettualismo, richiederà una volontà attiva e impegnata a tener vivo il sapere, attraverso il rischio esercitato in scelte concrete, capaci di concretizzare una dottrina che, altrimenti, sarebbe svuotata di ogni autenticità.

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